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SOSTANZE D'ABUSO
 
DISTURBO DA USO DI SOSTANZE E COMORBILITà PSICHIATRICA PARTE 3
Assessment individuale e temperamento

Se al disturbo da uso di sostanze non si associano disturbi psichiatrici conclamati, comunque la necessità di un assessment individuale, che valuti gli aspetti del temperamento, del carattere e delle condizioni cliniche di confine, è essenziale per l'orientamento delle scelte del trattamento. Infatti lo studio della funzione delle vie monoaminergiche (DA, 5-HT, NE) in eroinomani astinenti ha mostrato correlazioni importanti tra le caratteristiche temperamentali e le risposte dopaminergiche e serotoninergiche (Gerra et al., 2000) (Fig. 22). Il temperamento novelty seeking, a questo proposito, è stato trovato essere predittivo della ritenzione in trattamento a lungo termine con i trattamenti nuovi quali la buprenorfina, anche se, all'inizio della terapia, un maggior numero di soggetti novelty seeking usciva dal protocollo (Helmus et al., 2001).


fig. 22


Tipologie identificate tra i cocainomani

Le alterazioni biologiche che si verificano durante l'astensione dalla cocaina, valutate durante le prime tre settimane dopo l'interruzione della sostanza, comprendono un significativo deficit serotoninergico (Haney et al., in press) (Fig. 23). Ma, anche in questo caso, occorre tener conto degli aspetti anamnestici relativi alle varie tipologie della personalità. Differenze nella funzione serotoninergica sono state osservate in relazione a tipologie di cocainomani con storia di impulsività e aggressività, più precoce esordio della dipendenza, elevata incidenza di alcoolismo paterno (Buydens-Branchey et al., 1997; 1999) (Fig. 24).


fig. 23



fig. 24


Il trattamento con desipramina ottiene un significativo miglioramento dei sintomi depressivi e dell'outcome nei cocainomani con diagnosi duale, ma non si mostra efficace in quei soggetti che sono affetti dal disturbo additivo soltanto (Carroll et al., 1995). Dunque anche il sistema noradrenergico appare coinvolto nei substrati biologici della depressione diagnosticata tra i cocainomani, ma sembra non influire sulla conpulsione per la sostanza. Sempre in questa prospettiva McDowell (McDowell et al., 2000) suggerisce di trattare i cocainomani affetti da depressione con venlafaxina, un farmaco attivo sia sul reuptake della serotonina che della noradrenalina, documentando sia un miglioramento dei sintomi psichici che una consistente modulazione dell'addiction (Fig. 25).


fig. 25


Scelte mirate anche per i trattamenti con metadone e buprenorfina

Se gli interventi di psicofarmacologia selettiva richiedono di essere necessariamente mirati su specifici quadri clinici, anche il trattamento del disturbo adittivo in sè, con agonisti o con antagonisti degli oppioidi non potrà in futuro essere utilizzato in modo casuale o orientado da generiche valutazioni di gravità. A livello di indicazioni nella pratica clinica di base è stato suggerito di confinare il naltrexone ai pazienti meno gravi, il metadone ai più gravi e la buprenorfina ad una fascia di gravità intermedia: è facile comprendere quanto questa impostazione sia riduttiva e non tenga conto della specificità dei diversi farmaci.
Per ciò che concerne i trattamenti con stupefacenti, la tipologia di eroinomani affetti da comorbidità psichiatrica, considerata in generale, sembrano rispondere meno bene al trattamento con buprenorfina (Pani et al., 2000). Diversi Autori suggeriscono che il confronto tra metadone e buprenorfina non debba essere posto tra pazienti inseriti in trattamento in modo indistinto, ma comparando specifiche tipologie di soggetti caratterizzati dal punto di vista psichico e comportamentale (Barnett et al., 2001; Fischer et al., 1999). Per la tossicodipendenza certamente le aspettative dell'outcome appaiono più modeste in presenza di una diagnosi duale, ma questo non deve scoraggiare il clinico, in quanto è stato dimostrato che, in risposta ad una adeguata terapia psicofarmacologica, prescritta a fianco del trattamento mirato a contrastare il disturbo additivo, gli esiti a lungo termine non sono significativamente differenti (Saxon and Calsyn, 1995).

Interventi specifici per l'alcoolismo

Anche nel trattamento degli alcoolisti, insieme a strumenti diretti a controllare la compulsione per il bere, quali l'acamprosate, il disulfiram e il naltrexone, si è verificato che i farmaci serotoninergici (SSRI), non efficaci sulla popolazione degli alcoolisti in generale, erano capaci di ridurre il ricorso all'alcool in specifici gruppi di pazienti (Kranzler, 2000). Dati contrastanti sono stati ottenuti sin qui, ma comunque indicando una strategia che tenga conto delle tipologie del carattere, della personalità, della familiarità e quindi della genetica dei pazienti. La sertralina e la fluoxetina sembrano essere efficaci secondo alcuni in quegli alcolisti che mostrano minore severità del disturbo, una ridotta componente di psicopatologia, e meno elevati rischi comportamentali (Pettinati et al., 2000). In un nostro studio, al contrario, la comparazione tra fluoxetina e acamprosate dimostrava un miglior esito negli alcoolisti con familiarità positiva quando veniva somministrato il farmaco serotoninergico e, specularmente, un maggior controllo del bere ottenuto con l'acamprosate nei soggetti con alcoolismo meno pesante e senza storia familiare di abuso di sostanze (Gerra et al., 1992) (Fig. 26). Tale studio è stato ripreso da JAMA in una recente review sulle indicazioni terapeutiche per l'alcoolismo emerse durante gli anni 90


fig. 26


Prospettive specifiche di prevenzione della ricaduta

Da ultimo occorre accennare ad alcune prospettive estremamente affascinanti a riguardo di differenti possibilità di prevenzione della ricaduta connesse con le tipologie dei pazienti e, verosimilmente, con le loro caratteristiche personologiche, psichiatriche e relazionali. Infatti, nell'animale da esperimento, il reinstaurarsi del condizionamento, che induce a riutilizzare la sostanza interrotta da qualche tempo (ricaduta), può essere innescato da fattori stressanti (foot-shock; digiuno) o dalla esposizione a piccole dosi della sostanza stessa (priming): ebbene, è stato dimostrato ad esempio che se i farmaci serotoninergici sono capaci di impedire il ricorso all'alcool da parte del topo che ha subito uno stress sperimentale, al contrario il naltrexone è efficace nell'inibire la ripresa del bere alcool dopo l'esposizione all'etanolo che dovrebbe sostenere il priming (Stewart et al., 2000; Shalev et al., 2001).
Si può immaginare dunque, in futuro, di poter disporre di strumenti psicofarmacologici specifici che, a fronte di una accurata anamnesi e dell'identificazione di tipologie di pazienti omogenee, soprattutto in relazione alla comorbidità psichiatrica, possano contrastare vie specifiche dell'instaurarsi della ricaduta (pathways to relapse), ottenendo ciò che con interventi anti-craving standard e generalizzati non si è riuscito ad ottenere sino ad oggi.

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