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SOSTANZE D'ABUSO
 
RICADUTA E MEMORIA: BASI BIOLOGICHE
Le sostanze d’abuso, che inducono con facilità i consumatori a sviluppare un disturbo addittivo, sembrano lasciare una traccia mnemonica organica sul cervello, persistente ben oltre la sospensione dell’assunzione delle stesse, capace di condizionare non solo il craving nell’immediato, ma un successivo stato di vulnerabilità a lungo termine rispetto al rischio della ricaduta. Questa "memoria psico-biologica" della droga o dell’alcool non è riconducibile nell’uomo a un meccanismo semplice e facilmente interpretabile, ma corrisponde a una complessa serie di interazioni tra farmaco e individuo.
Considerando ciò che è possibile dimostrare con il modello animale, il release dopaminergico nello shell del nucleus accumbens (NAC) che con le droghe sembra non andare incontro ad "habituation", cioè a quella riduzione di intensità che si osserva in risposta alle gratificazioni naturali, indurrebbe un apprendimento associativo abnorme, in una prima fase sostenuto dall’incentivo della sostanza, un condizionamento difficile da estinguere al momento dell’interruzione della disponibilità della droga (Di Chiara, 2000). La ripetuta esposizione alla sostanza, ad esempio alla nicotina, appare produrre un sistematico release di dopamina, che comprende anche il "core" del NAC, con l’instaurarsi di una forma di condizionamento facilmente riattivata dai fattori "trigger" (grilletto), e ad andamento automatico, relativamente indipendente dalla capacità gratificante della sostanza psicotropa.
Il mancato decremento delle risposte dopaminergiche agli stimoli delle droghe, cioè la ridotta habituation, sarebbe responsabile di un estremo rinforzo del rapporto stimolo-droga, con l’attribuzione di un eccessivo valore motivazionale a stimoli e contesti comuni, che assumono significato predittivo della disponibilità della sostanza (Di Chiara, 1999): questo "potere" dei trigger, sensazioni, parole, cose, luoghi, relazioni, stati d’animo, costituisce uno degli elementi centrali nel condizionare la ricaduta (Di Chiara, 1998; Di Chiara et al., 1999). La capacità di persistere nel tempo di tale forte attribuzione di significato agli stimoli droga-correlati può lasciar intuire il meccanismo organico del riproporsi del condizionamento, attivo anche a distanza di anni.
In particolare, la traccia mnemonica che condiziona il desiderio della gratificazione, la fase appetitiva, e non la fruizione della gratificazione in sé, appare coinvolgere il core del NAC, confinando allo shell il release di dopamina indotto da uno stimolo inatteso (Bassareo e Di Chiara, 1999): ad indurre la ricaduta, quando lo stimolo gratificante manca da tempo, sarebbe dunque una traccia dell’aspettativa del piacere, piuttosto che il ricordo biologico della fruizione del piacere. Anche secondo l’opinione di altri autori, è possibile ipotizzare, sempre traendo considerazioni dal modello animale, che la traccia permanente inerente una modificazione a lungo termine del sistema di "rinforzo", con il suo release di dopamina, riguardi proprio l’aspettativa del nuovo e della gratificazione al di fuori dell’ordinario, più che non la gratificazione stessa (Garris et al., 1999).
D’altra parte la traccia mnemonica di cui si sta parlando, quella capace di condizionare la ricaduta a distanza di anni, potrebbe consistere in un disequilibrio nella capacità dell’amigdala estesa e del NAC di tradurre alla corteccia il bilancio tra stimoli gratificanti e stimoli avversi, tra vantaggi e svantaggi: si è visto, infatti, che la dopamina può essere incrementata nel NAC anche da stimoli avversi e stressanti, con il possibile ruolo per questi centri di una complessa valutazione costi-benefici, e non la semplice percezione degli stimoli piacevoli (Salamone et al., 1997). Proprio in questa ottica, il segnale dopaminergico nell’accumbens appare rinforzare le risposte per l’approccio a condizioni di "sicurezza", lasciando una traccia mnemonica che è connessa agli stimoli nuovi, sia positivi che avversi: non necessariamente dunque la dopamina sarebbe connessa con la percezione del piacere, e con l’apprendimento associativo abnorme di cui parla Di Chiara riferito a stimoli piacevoli; piuttosto questo neurotrasmettitore sarebbe deputato a uno screening di tutti gli stimoli nuovi, e ad una valutazione inerente i sistemi di sicurezza, forse collegandosi ad altri sistemi neuroendocrini capaci di tradurre in percezione della gratificazione il contatto con il nuovo (Ikemoto and Panksepp, 1999). L’apprendimento associativo, e cioè la memoria di stimoli condizionati, non riguarda solo gli stimoli piacevoli, ma anche la tensione emotiva delle difese, attivate per rispondere a stimoli avversi, sempre capaci di far aumentare la dopamina nel NAC (Pezze et al., 2001).
Tale meccanismo studiato nel modello animale rimanda a considerazioni inerenti il disturbo addittivo nell’uomo, sempre caratterizzato, oltre che dalla tensione verso uno stimolo gratificante, dall’esposizione al rischio di perdita, di morte, di autodistruzione. Il contenuto self-defeating delle dipendenze, evidentissimo sia per le droghe che per il gioco d’azzardo, si esprime in pratica nella ricerca di condizioni ove gli stimoli avversi, il rischio per la sicurezza e la possibilità di perdere possono forse attivare il release di dopamina nell’accumbens quanto il piacere delle droghe in sé.
E ancora in quest’ottica, così vicina agli aspetti clinici che definiscono la persistente tensione verso i comportamenti tossicomanici, è stata verificata un’associazione tra release di dopamina nell’accumbens e la discrepanza tra reward atteso e reward reale: un errore registrato dai neuroni nel "predire" il livello di gratificazione, e quindi il contenuto di nuovo e di "inatteso" può essere più efficace della gratificazione in sé nell’incrementare la dopamina, e quindi nel registrare un condizionamento capace di perdurare nel tempo (Wealti et al., 2001).
Il sistema della gratificazione, esposto alle sostanze psicotrope d’abuso, acquisirebbe una sorta di ipersensibilità a questi stimoli, sensibilizzazione estremamente importante nell’indurre lo stato di dipendenza, e un’estrema facilità alla ricaduta: come si è visto, tale sensibilità aumentata sarebbe rivolta non alla percezione della gratificazione in sé (liking), ma al desiderio per la gratificazione (wanting), un bisogno accentuato di stimoli a contenuto di gratificazione nuovo, inatteso e che non è facile predire prima di farne esperienza (Robinson and Berridge, 2000; Berridge and Robinson, 1998). Dunque la dopamina nell’accumbens, reso ipersensibile dall’esposizione alle sostanze, medierebbe l’attivazione del sistema ad un diverso livello di soglia nella risposta ai "cue", stimoli sensoriali droga-correlati, capaci di evocare le precedenti esperienzeindipendentemente dal loro effetto gratificante.
Rispetto ai danni prodotti dalle droghe sull’organismo al momento dell’assunzione, e alle difficoltà connesse con lo stato di dipendenza e di astinenza, la più seria conseguenza dell’esposizione ripetuta alle sostanze d’abuso è lo sviluppo dello stato di "addiction", un persistente stato nel quale l’uso compulsivo di droghe sfugge al controllo, a dispetto di consistenti conseguenze negative. A caratterizzare il comportamento addittivo è un elevato rischio di ricaduta che persiste per un tempo prolungato, spesso innescato dall’esposizione ai cue (droga-correlati): nonostante oggi diversi elementi neuro-biologici inerenti l’instaurarsi della tolleranza e dell’astinenza siano stati investigati a fondo, molto resta ancora da comprendere riguardo alla traccia mnemonica che sostiene il rischio della ricaduta (Hyman and Malenka, 2001). Si ipotizza, da parte di questi autori, che la compulsione e la sua persistenza siano fondati sull’usurpazione di meccanismi molecolari che normalmente sono coinvolti nella memoria: si tratterebbe non solo di un diverso assetto funzionale che coinvolge le relazioni tra sistemi neuronali, con il coinvolgimento di neurotrasmettitori, sinapsi, l’assetto della sensibilità dei recettori, ma anche di un livello più profondo con cambiamenti operati a livello dei nuclei delle cellule, sul patrimonio genico e la sua espressione attraverso la modulazione della trascrizione.
L’ipersensibilità del sistema dopaminergico nei confronti delle aspettative indotte dagli stimoli trigger, di cui si è detto precedentemente, costituirebbe la base biologica della compulsione e della persistente tendenza alla ricaduta. Meno significativo sarebbe invece il ruolo rivestito a lungo termine dalla noradrenalina: la necessità di ottenere sollievo da una condizione di ipertono noradrenergico, tipica di gran parte degli stati astinenziali acuti, non spiega le ricadute a notevole distanza dall’interruzione dell’assunzione delle droghe (Lyvers, 1998). La concezione, dunque, sempre maggiormente accreditata, del disturbo addittivo come malattia organica, fondata su elementi neurobiologici misurabili. Processi plastici che modulano le vie mono-aminergiche a livello limbico, ventro-tegmentale e corticale sosterrebbero quel set di apprendimento aberrante che condiziona la ricaduta, con un sovvertimento dei processi della memoria (Everitt et al., 2001).
L’interpretazione di questi processi neuro-plastici comprende la teoria che considera il mancato effetto dei processi di controllo che dovrebbero portare alla normalizzazione, all’omeostasi, il sistema della gratificazione. Questo comporterebbe lo stabilirsi di una condizione detta "allostasi", un diverso livello di soglia dell’attivazione del sistema della gratificazione, insensibile ai meccanismi omeostatici di controllo, e comprendente un arousal generalizzato a livello neuro-endocrino: anche gli ormoni dello stress sarebbero coinvolti, insieme con le monoamine in questa condizione di allostasi a sostegno della mancanza di controllo sulla compulsione verso le droghe (Koob and Le Moal, 2001).
L’alterata soglia della attivazione dopaminergica striatale corrisponde a cambiamenti persistenti nei fattori emozionali e motivazionali, e nei parametri comportamentali, capaci di perdurare a grande distanza di tempo dalla interruzione della droga: questa traccia psico-biologica viene definita "memoria dell’addiction" che comprende a sua volta la memoria della perdita di controllo nei confronti della sostanza (che non si estingue con la semplice astensione) e la memoria degli effetti della sostanza (Heyne et al., 2000; Berke and Hyman, 2000). La memoria dell’addiction è dunque intesa come un disturbo individuale acquisito in relazione all’integrazione selettiva di circuiti di feed-back e di sistemi di comparazione, rispetto ai processi di informazione neuronale: questo apprendimento a lungo termine e la sua disregolazione rende il soggetto ipersensibile ai cue, gli stimoli droga correlati, esterni ed interni (Boening, 2001).
A produrre una traccia così persistente e stabile non sono soltanto nuovi equilibri funzionali all’interno della sinapsi, di per sé capaci di ritornare a condizioni omeostatiche in pochi giorni. Piuttosto le sostanze psicotrope d’abuso agirebbero sul nucleo cellulare influenzando la lettura del patrimonio genico. Evidenze di questa capacità delle droghe di modificare la trascrizione di porzioni di cromosomi sono sempre più frequentemente riportate dalla letteratura. Il fattore di trascrizione DeltaFosB sarebbe significativamente e stabilmente aumentato dall’esposizione alle sostanze d’abuso, inducendo quelle modificazioni nell’accumbens e nello striato che sarebbero responsabili del comportamento additivo e della facilità alla ricaduta (Nestler et al., 2001).
Un sensibile aumento della quantità di RNA messaggero è stato rilevato nella corteccia frontale dopo l’esposizione cronica alla cocaina nell’animale da esperimento. I l livelli di proteine quali la tirosina-kinasi 2, le proteine del citoscheletro regolate dall’attività (ARC), così come un antigene correlato con il fattore di crescita neuronale I-B (NGFI-B-RA), sono stati trovati significativamente aumentati dall’esposizione alla cocaina, in relazione all’incremento di trascrizione dell’RNA di cui si è detto (Freeman et al., 2002). E’ noto, a questo proposito, quanto sia importante il ruolo della corteccia frontale, e di uno stato di iperattività del "drive" a livello orbitofrontale, ormai divenuto autonomo dal sistema della gratificazione, nel determinare il desiderio impulsivo per le sostanze, anche quando i meccanismi della tolleranza hanno compromesso completamente la percezione del piacere delle droghe (Volkow et Fowler, 2000). I dati inerenti le alterazioni della trascrizione genica nella corteccia frontale potrebbero spiegare in modo più approfondito gli aspetti fisiopatogenetici del disturbo additivo, che già le tecniche di brain imaging avevano identificato proprio in quest’area cerebrale.
La modificazione dell’espressione di diversi geni, indotta dalla cocaina, sarebbe mediata anche nel nucleus accumbens dai recettori D1, con conseguenze sul metabolismo di quest’area del cervello ancora non completamente identificate (Zhang et al., 2002).
La eccessiva espressione del CREB, la proteina che costituisce l’elemento di binding per la risposta all’AMP ciclico (cAMP response element binding), sarebbe coinvolta nella traccia biologica lasciata dagli psicostimolanti, e più in generale dalle droghe, anch’essa con una modulazione che avviene a livello genico (Sakai et al., 2002). Sempre i fattori di trascrizione Fos sarebbero implicati nello stabilirsi di una risposta di ipereccitabilità cortico-striatale dopo l’esposizione alla cocaina, con l’instaurarsi di nuovi equilibri tra sistema dopaminergico e sistema glutamatergico (Canales et al., 2002).
L’azione degli psicostimolanti come la cocaina interferirebbe sull’espressione di una molteplicità di geni, quali quelli che presiedono al controllo della pro-dinorfina e della pro-encefalina nel caudato e nel putamen, influenzando come si può immaginare anche la funzione del sistema oppioide. Ancora aperta invece la discussione sulla relazione tra modificata espressione genica e funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: secondo alcuni infatti la cocaina non modificherebbe l’espressione dei geni che presiedono alla sintesi di pro-oppioimelanocortina (POMC) e al recettore per il CRH (Zhou et al., 2002). Al contrario, l’esposizione cronica all’alcool sembra produrre, secondo le valutazioni più recenti, alterazioni nell’espressione del gene che codifica per la POMC, condizionando, almeno in parte, quel quadro che caratterizza la deprivazione di etanolo e la propensione alla ricaduta, forse relativo a una disregolazione dell’ACTH e del cortisolo (Rasmussen et al., 2002). In generale la funzione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene sembra assumere un ruolo permissivo cruciale per la fruizione delle gratificazioni, il tono dell’umore, le reazioni allo stress e al nuovo.
Non sono esclusi dall’azione della cocaina i geni che codificano per i recettori NMDA del glutammato: una up-regolazione dell’espressione del NMDAR1 è stata descritta durante l’esposizione agli stimolanti, forse anch’essa capace di lasciare una traccia mnemonica in determinate aree cerebrali (Crespo et al., 2002).
L’esposizione agli psicostimolanti modula l’espressione genica persino in relazione a fenomeni plastici del neurone, quali la sinaptogenesi, l’allungamento neuritico con interferenze sul citoscheletro e una vera e propria "gemmazione" dendritica (Ujike et al., 2002). Le basi biologiche per una plasticità neuronale a lungo termine, sottesa al comportamento addittivo, sono state identificate in una aumentata espressione di RNA messaggero e di proteine deputate al controllo della trascrizione, capaci di condizionare non solo alterazioni funzionali di neurotrasmettitori e recettori, ma addirittura una nuova strutturazione delle cellule e delle sinapsi (Nestler, 2001).
Come è noto, le varie vie che conducono alla ricaduta possono essere connesse con l’effetto priming, relativo all’esposizione a micro-dosi delle sostanze d’abuso, o all’ esperienza dello stress: a costituire gli elementi biologici che inducono lo stato psichico capace di facilitare la ricaduta, cioè il reinstaurarsi del meccanismo condizionato, possono convergere diversi fattori biologici quali l’iperattività dei recettori D2 nell’accumbens, la attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene da parte degli stimoli stressanti con il coinvolgimento della corteccia prefrontale. Anche una via non-dopaminergica, con un’incrementata espressione genica dell’AMP ciclico nel nucleo accumbens, sosterrebbe il rischio della ricaduta. E’ appunto questo tipo di alterazione biologica, una modalità adottata dal sistema per "opporsi" alle droghe, che indurrebbe lo stato di modificata sensibilità alle sostanze e allo stress, divenendo verosimilmente responsabile della ricaduta nello stato di dipendenza (Self and Nestler, 1998).
Il quadro organico indotto dalla prolungata esposizione alle droghe può essere davvero considerato come una reazione neuroplastica, che comprende una up-regolazione dell’AMP ciclico tale da condizionare un aumento dei fattori di trascrizione per la proteina di legame in risposta all’AMP ciclico stesso (CREB), connesso con lo stato di tolleranza e di dipendenza. D’altro canto, l’induzione di un altro fattore di trascrizione, il Delta Fos B, contribuirebbe in modo opposto ad aumentare la sensibilità alle sostanze psicotrope (Nestler, 2001).
E’ questo nuovo equilibrio tra fattori di trascrizione che potrebbe modulare la funzione del circuito che comprende l’area ventro-tegmentale, la corteccia prefrontale, il core dell’accumbens e il nucleo ventrale del pallido, agendo sulle risposte dopaminergiche: interventi con antagonisti recettoriali della dopamina nella corteccia prefrontale inibiscono il re-instaurarsi della dipendenza. Al contrario, la somministrazione di dopamina produce il "reinstatement" del comportamento additivo condizionato (McFarland and Kalivas, 2001).
Che cosa di fatto significhi il CREB aumentato dall’esposizione alle sostanze in termini di conseguenze comportamentali è ancora difficile spiegarlo: l’aumento del CREB indurrebbe una riduzione della dopamina, mentre il CREB ridotto amplificherebbe le risposte dopaminergiche nel circuito della gratificazione nei confronti degli stimoli ansiogeni e nocicettivi (Barrat et al., 2002). I livelli di CREB, influenzati dalle sostanze psicotrope che interferiscono sulla trascrizione dei geni, sarebbero a loro volta capaci di alterare la percezione e il contenuto emozionale degli stimoli esterni.
La varietà dell’azione delle sostanze d’abuso sull’espressione genica dipende dal tipo di sostanza, dal tempo di esposizione e dall’area cerebrale considerata: un’alterata espressione genica nella corteccia frontale e motoria è stata evidenziata negli alcoolisti a carico del controllo degli ioni calcio, dell’AMPc e degli ormoni tiroidei (Mayfield et al., 2002).
Recentissime acquisizioni negli studi sull’uomo mostrano che nel soggetto esposto alla cocaina si rilevano ridotte espressione dei fattori di trascrizione NURR 1 nei neuroni dopaminergici. La conseguenza possibile sarebbe dovuta al fatto che, in relazione al deficit di NURR 1, in questi soggetti si osserva una riduzione dell’espressione del gene che codifica per il trasportatore pre-sinaptico della dopamina (DAT), il che ovviamente può interferire con lo stato di funzionalità della trasmissione dopaminergica (Bannon et al., 2002).
Sebbene il modello che conduce al re-instaurarsi del condizionamento nell’animale da esperimento non sia stato studiato estensivamente nell’uomo, si può parlare, anche per la specie umana, di diverse "vie alla ricaduta", ma con risultati ancora soltanto iniziali e scarsamente riproducibili (Gardner, 2000). In ogni caso ogni paziente giunge a riprendere il consumo, e a sviluppare rapidamente la dipendenza al momento della ricaduta, attraverso percorsi individuali, complessi e non standardizzabili, che appaiono univoci solo ad una valutazione superficiale.
Ad esempio lo stress, oltre all’esposizione alla sostanza, può assumere un ruolo centrale per riattivare la traccia biologica sottesa alla memoria dell’addiction anche nell’uomo: per ciò che concerne la nicotina, appunto, la ricaduta nella dipendenza può essere provocata dallo stress, pur non mostrando la nicotina, com’è noto, un’azione anti-stress che ne spieghi razionalmente la necessità (Heishman, 1999).
Sicuramente appare sempre più evidente, anche nell’uomo, quanto la traccia mnemonica persistente che può provocare la ricaduta dopo molti anni di astensione dalle droghe, sia attivata da stimoli sensoriali esterni o interni che vanno ben oltre la semplice esposizione alle sostanze, con la loro capacità gratificante. Piuttosto proprio l’arousal che accompagna il desiderio della sostanza, e l’aspettativa per la "discrepanza" tra rischio e gratificazione, con i correlati biologici su cui si fonda il legame addittivo, possono indurre la ricaduta, a dispetto di anni di terapia, di formazione, di miglioramenti cognitivi, di un’intensa strutturazione socio-morale. Il meccanismo attraverso il quale lo stress è capace di riattivare il condizionamento all’addiction è ancora non del tutto chiarito, sebbene sia documentata la relazione tra stimoli stressanti e ricaduta, con conseguenze simili al priming con le sostanze (Sinha, 2001).
Infine diviene impossibile non tener conto, nell’uomo, delle condizioni neuro-biologiche che possono preesistere all’incontro con le sostanze psicotrope d’abuso, ai fini dell’instaurarsi di quella traccia mnemonica che condizionerebbe la ricaduta. L’evidenza di specifiche associazioni tra polimorfismi genici e tipologie di personalità tra i tossicodipendenti e gli alcoolisti (Gerra et al., in press; Hallikainen et al., 1999; Matsushita et al., 2001; Sander et al., 2001), così come le alterazioni genetiche che sembrano accompagnare le condizioni del temperamento e della personalità, a rischio per lo sviluppo delle dipendenze (DAT e esternalizzanti; behavioral dishinibition; ACOAS), suggerisce che per i soggetti vulnerabili il livello della "memoria biologica" sia più profondo e intrinsecamente strutturato.
Le tante alterazioni delle risposte neuroendocrine, rilevate nei tossicodipendenti, indipendentemente dalla storia dell’esposizione alla sostanza, e associate piuttosto a caratteristiche del comportamento, della personalità o alla comorbidità psichiatrica (Buyden-Branchey, 1999; Coccaro et al., 1990; Gerra et al., 1995; 1997, 2001; Tiihonen, 1995) suggeriscono che la traccia mnemonica di carattere biologico, capace di determinare il rischio della ricaduta, presenti una natura mista, composita, con elementi che si fondano sui correlati biologici dei fattori che hanno preceduto l’incontro con le droghe, insieme a elementi indotti dall’esposizione alle droghe stesse.
Appare possibile immaginare ad esempio che tra le alterazioni del sistema dopaminergico indotte dalle droghe, di cui si è riferito in precedenza, e le condizioni disfunzionali del sistema della dopamina che sono state individuate negli individui caratterizzati da uno specifico quadro temperamentale, da determinati elementi della personalità, o affetti da vere e proprie psicopatologie (Gerra et al., 2000; Young et al., 2002; Gerra et al., in press), si instauri una relazione tale da costituire equilibri allostatici ancora più lontani dalle condizioni fisiologiche che accompagnano lo stato di benessere.
In un individuo vulnerabile, già caratterizzato da profonde "ferite" della funzione della dopamina, e da un’iniziale compromissione del sistema della gratificazione, quale nuovo assetto potranno indurre le sostanze capaci di incidere così profondamente proprio nei nuclei deputati alla percezione della gratificazione attraverso la sensibilizzazione delle vie dopaminergiche? Quale memoria dell’addiction ancora più radicata e profonda si potrà instaurare in questi soggetti? Forse un iniziale effetto di auto-medicazione con le droghe potrà incidere una traccia più significativa in quella "usurpazione" della memoria che sostiene il comportamento addittivo e condiziona la ricaduta?
Certamente parlare dell’azione dei cannabinoidi in sé nel lasciare un segnale persistente sull’accumbens, capace di sostenere il rapporto addittivo, appare limitativo nell’uomo e non tiene conto della complessità del rapporto tra individuo e sostanza: un recente studio mostra come un polimorfismo genico sarebbe associato ad una disfunzione del sistema dei cannabinoidi endogeni, compromettendo il metabolismo degli acidi grassi (Sipe et al., 2002). Quale traccia biologica s’instaura in un soggetto ripetutamente esposto alla marijuana e contemporaneamente affetto da questa modificazione genica che codifica in modo alterato proprio per il sistema dei cannabinoidi? Certamente il rapporto con la sostanza potrebbe essere molto più stretto, in relazione ad una possibile percezione dell’effetto della droga come "sostitutiva" di una specifica "carenza". La "discrepanza" tra aspettativa della gratificazione e gratificazione effettiva, alla quale si è attribuito in precedenza così grande importanza nel condizionare la compulsione verso la sostanza, potrebbe essere più ampia in questi soggetti con una predisposizione sostenuta da precise alterazioni psicobiologiche.
E ancora si deve pensare che alterazioni dell’espressione genica dei recettori mu oppioidi e della pro-oppiomelanocortina (POMC) indotte dall’alcool e dagli oppiacei possano lasciare tracce più consistenti in individui con una compromissione del sistema oppioide preesistente all’incontro con l’alcool e dell’eroina (Bond et al., 1998 ): proprio i polimorfismi che modulano la trascrizione dei recettori oppioidi potrebbero "amplificare" l’azione oppioide dell’alcool e degli oppiacei e quindi la loro capacità gratificante in alcuni individui, con un "segno" mnemonico più difficile da estinguere. Allo stesso modo non è possibile escludere che gli psicostimolanti sappiano indurre più significativi condizionamenti, mediante la loro azione di blocco del reuptake di diverse monoamine cerebrali, e in particolare delle catecolamine, in soggetti tossicodipendenti con alterazioni del sistema alfa-adrenergico (Gerra et al., 1994) o in quelle condizioni a rischio che sarebbero caratterizzate da una alterata densità del transporter della dopamina (Gill et al., 1997).
In conclusione, se oggi appaiono sempre più convincenti i risultati sperimentali che dimostrano la capacità delle droghe di indurre tracce biologiche persistenti, addirittura operando sul nucleo delle cellule e quindi sulla capacità di trascrivere e attivare porzioni del patrimonio genico, occorre non dimenticare, quando si considera il comportamento addittivo nell’uomo, la notevole variabilità delle risposte rilevabili in soggetti diversi esposti alle sostanze d’abuso con le stesse modalità e alle stesse dosi. La "usurpazione" dei meccanismi biologici della memoria, finalizzati fisiologicamente alla sicurezza e alla sopravvivenza, e polarizzati attraverso assetti allostatici dei neurotrasmettitori alla semplice reiterazione del comportamento tossicomanico, non avviene, in realtà, nella totalità dei soggetti che assumono le sostanze psicotrope per un certo periodo di tempo: per qualcuno le straordinarie capacità delle droghe di agire sul cervello appaiono vane e inconsistenti. Per altri individui le droghe divengono rapidamente una consuetudine irrinunciabile, e motivo di un ritorno al condizionamento più drammatico anche dopo anni di astensione.
E’ evidente quanto sulla capacità delle sostanze d’abuso di incidere tracce biologiche sul cervello persistenti a lungo termine pesino in modo significativo, nei soggetti umani, le condizioni psicobiologiche di partenza, gli elementi socio-relazionali, e "di contesto", che a loro volta possono condizionare seriamente gli equilibri delle monoamine cerebrali, l’assetto dei peptidi, e quindi la soglia della fruizione delle gratificazioni, la percezione del rischio e l’elaborazione dei contenuti emozionali.
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